Storia

panorama

 

Borgo autentico

 

 

 

 

Arrivare a Melissa è come seguire un nastro capriccioso che si insinua tra verdi vigneti protetti da dolci colline, e lascia che all’improvviso si schiuda alla vista il paese a picco su di un profondo burrone.

 

Melissa con il suo centro abitato strutturato a gradoni, accessibile attraverso molteplici tornanti, appare arroccata con le sue numerose case, con le sue chiese, con le sue grotte rupestri, un tempo, non molto remoto, utilizzate come abitazioni.

 

E’ questo lo scenario che ci si presenta nel momento in cui dobbiamo rinunciare all’auto e salire attraverso un suggestivo centro storico, solcato da caratteristiche viuzze strette e percorribili solo a piedi.

 

L’aria che respiriamo è quella di un tipico borgo feudale, man mano che proseguiamo fino alla parte più alta dell’abitato per visitare i resti del castello appartenuto al Conte Francesco Campitelli nel XVII sec.

 

“A Mélissa si incontra poca gente”, è così che ci accoglie un simpatico vecchietto che facendo capolino dall’uscio della sua dimora attira la nostra attenzione, e con una voce flebile, segnata dagli anni: “Avete visto il Castello!?” – continua - “la conoscete la storia del conte di Melissa?”. Invitati a sederci, siamo rimasti volentieri ad ascoltarlo, consapevoli dell’opportunità di rievocare i fatti e le leggende del luogo attraverso i ricordi di un melissese. “Il Conte” - prosegue con calma - “era un uomo prepotente, sanguinario ed efferato, che aveva ripristinato lo ius primae noctis, tributo particolare che obbligava tutte le novelle spose del paese a consumare le prime notti di nozze nel suo regale letto. Irrompendo nella chiesa di S. Giacomo, sulla quale la famiglia Campitelli deteneva il patronato, alla fine di ogni celebrazione di matrimonio, rapiva la sposa ed attraversando passaggi sotterranei, collegati direttamente alla sua dimora, giungeva al castello, dove soddisfaceva le sue lussuriose voglie, strappando a delle giovani fanciulle quell’innocenza che riservavano per il loro amato. In seguito le ragazze venivano rimandate ai loro mariti con un carico di viveri. Ma arrivò il giorno in cui un giovane innamorato di una fanciulla di Melissa, non volendo cedere a tale sopruso, in accordo con alcuni amici, tese un agguato al Conte. Nascoste le roncole sotto i mantelli, penetrarono nel castello e lo uccisero. Il popolo aiutò a fuggire il coraggioso che aveva eliminato il feudatario e le sue prepotenze”.

 

Del Campitelli oggi rimane un busto marmoreo nella chiesa di S. Giacomo che raffigura il Conte adagiato su una tavola di marmo, purtroppo ridotto in pezzi e divenuto per questo nella fantasia popolare “osceno”.

 

Un particolare ci incuriosisce, l’accento tonico con il quale l’ospitale ottuagenario pronuncia in dialetto il nome del suo paese, “Mélsa”. Il toponimo ha infatti a che fare col greco μ?λισσα (mélissa), con il significato di miele, ape, risalente proprio all’epoca delle colonizzazioni greche sulle coste ioniche.

 

“Ma… Melissa non è anche il nome di una maga che abitava questi luoghi?” – accenna qualcuno del gruppo. “Melissa è il paese delle streghe” – riprende con una certa enfasi il nostro venerando amico – “si dice che le streghe fossero giunte qui dalla città di Benevento, un tempo chiamata Malevento, proprio perché abitata da queste creature. Perseguitate dall’inquisizione vennero a rifugiarsi nelle grotte di Melissa, confondendosi nel tempo con la popolazione locale. Figuratevi che fin’anche queste, per quanto malvagie, finirono con lo scontrarsi con il Conte repressore”. Magia dunque, di tradizione contadina e mediterranea, sentita come parte del mondo popolare ed in ogni caso accettata se addirittura sullo stemma comunale appare rappresentata una figura magica, ninfa o maga.

 

Catturati dall’affabilità di chi non potrebbe spendere meglio il suo tempo se non in compagnia, lasciamo che il nostro prezioso interlocutore condivida con noi i suoi ricordi più recenti: le vicende di Fragalà. “Melissa era un paese schiavo…” – prosegue con voce dimessa – “…costretto dalla fame ad occupare le terre dei padroni. Quella mattina del 30 ottobre del ’49, tutto il paese si spopolò, donne, uomini e bambini si raccolsero a gruppi di famiglie nel largo attorno al castello. Le donne, si divisero i compiti, alcune portarono i barili dell’acqua, le altre le canestre di viveri, chi possedeva aveva dato anche per chi non possedeva, non era giorno in cui si potesse digiunare, quello! Gli uomini erano armati solo degli attrezzi della loro fatica. Partirono senza nemmeno chiudere l’uscio, non c’era nulla da rubare a Melissa. Discesero sul fondo di Fragalà, di proprietà del barone Berlingeri, a piedi o in groppa alle cavalcature, per lavorare i terreni lasciati incolti da moltissimi anni. Quella stessa mattina i poliziotti salirono a Fragalà, mentre i contadini continuarono a zappare ed arare le terre lasciate fino al quel giorno incolte, sicuri che le forze dell’ordine non li avrebbero attaccati. Alla vista delle prime divise le donne raccolte in gruppo gridarono all’unisono «Viva la polizia del popolo», ed ancora «Vogliamo pane e lavoro». Ma i poliziotti si schierarono a semicerchio e la risposta fu un lancio fitto di bombe lacrimogene, poi i braccianti vennero caricati, si scappava, si udirono raffiche di mitra. Immediatamente la notizia terribile si sparse per tutto il paese. Avevano sparato! Erano caduti dei contadini e non si sapeva quanti: tutti avevano qualcuno laggiù, o il marito o il figlio o il fratello…

 

Francesco Nigro cadde per primo a 29 anni, Giovanni Zito ad appena 20 anni ed una giovane donna di sole 24 anni, Angelina Mauro, ferita mortalmente, morirà qualche giorno dopo all’ospedale di Crotone. Molti altri furono seriamente feriti. La polizia aveva puntato e sparato freddamente sui contadini che scappavano… si accanì anche sulle cose e sugli animali… i morti giunsero in paese a dorso di muli…”.

 

Una testimonianza dell’antica aspirazione alla giustizia di una popolazione fatta di gente semplice, che sembra quasi condannata, dalla storia, a lottare contro le prepotenze delle classi al potere. I contadini di Melissa e la famiglie dei martiri non ebbero giustizia, il caso venne ben presto chiuso con una sentenza pilatesca che oggi farebbe inorridire la giustizia stessa.

 

 Melissa, come in Calabria e nel Mezzogiorno, le occupazioni della terra sono state sempre una costante nella storia. Si trattava essenzialmente di movimenti per le terre gravate da usi civici che i proprietari usurpavano e sulle quali i contadini rivendicavano il diritto di semina, di pascolo e di legnatico. Il movimento, iniziato nel 1946  e culminato nel 1949 con l’eccidio di Melissa, ha liquidato il latifondo che era caratterizzato da una grande concentrazione di terre e di ricchezze nelle mani di poche famiglie, mentre migliaia di contadini e di lavoratori vivevano al limite della sopravvivenza in condizioni indicibili di miseria e di arretratezza.

 

 “Morirono” - conclude il nostro narratore - “piantando per sempre la loro vita sul fondo di Fragalà, perché quella terra non rimanesse incolta ed il frutto del lavoro fosse dei lavoratori…”  I fatti di Melissa ebbero una grande risonanza in Italia ed all’estero. La stampa, la cultura e l’arte cominciarono ad occuparsi di Melissa. Per questo un giovane artista milanese Ernesto Treccani si recò a Melissa, restò colpito dalle condizioni di vita degli abitanti, e qui iniziò un suo impegno culturale e politico con questo paese che durò per tutta la vita.

 

   Furono proprio questi tragici fatti ad accelerare l’approvazione delle leggi della Riforma Agraria e a segnare la nascita di un patrimonio di valori: una scuola di libertà e democrazia che fece assurgere Melissa all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, come simbolo di libertà, di riscatto ed emancipazione dei contadini poveri meridionali.

 

   Iniziò una nuova stagione di speranza che si interruppe con il fenomeno di emigrazione che se da una parte svuotò le campagne di forze giovani, dall’altra favorì l’aumento dei consumi e di benessere  ma con un costo sociale ed umano incalcolabile. Si arresta ogni processo di crescita interno e cresce un’economia basata sulle entrate esterne.

 

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